L’ultima dei Felpher

«L’hai trovata?»

«Sì, la vedo. È lei, non c’è dubbio.»

«Ne sei sicura? È molto distante, guarda bene.»

«Sì, è lei. Non ho bisogno di guardare, lo sento.»

Il cielo era completamente sgombro da nuvole quella mattina di metà agosto. Partiva da un azzurro intenso, saturo, per degradare in tutte le tonalità del celeste fin quasi a spengersi nel bianco più assoluto, una volta toccato il filo dell’orizzonte. Il sole riluceva feroce in quell’immensità di vuoto, pronto a ferire gli occhi di chiunque avesse osato sfidarlo fissandolo.

Dall’altezza dell’astro e dalla perpendicolarità delle ombre rispetto al suolo si poteva desumere che fosse quasi mezzogiorno.

Di lì a poco il potente suono delle campane di Acanto avrebbe invaso l’aria. Aiutato dalla conformazione del territorio, si sarebbe propagato per decine di chilometri, fino a raggiungere le orecchie tese di tutti coloro che non aspettavano di udire altro: lo spettacolo stava per cominciare e nessuno se lo voleva perdere!

Nonostante si fosse ancora nel cuore dell’estate, tirava una brezza fresca proveniente dalle vicine montagne di Sedum, giusto il tanto da far increspare la pelle, dandole così un doloroso sollievo dall’afa tipica di quella stagione.

In quella quiete innaturale d’attesa, il candido avambraccio sinistro di Freesia aderiva completamente alla corteccia muschiata di Quercia, che conferiva riflessi verdastri alla sua pelle diafana. Il polso era leggermente ruotato all’esterno, in modo che anche il palmo della mano potesse essere completamente a contatto con la pianta. Le dita, innaturalmente spalancate per occupare la maggior superficie possibile, terminavano con unghie corte e regolari, incapaci di graffiare, da cui traspariva un lieve rossore, indice della pressione che i polpastrelli esercitavano sul tronco. L’altro braccio, abbandonato sul fianco destro, terminava con un pugno chiuso, a testimonianza della tensione del momento.

Freesia indossava una lunga veste écru, che dondolava lievemente a ogni alito di vento, fondendo la sua danza con quella dell’erba: un tutt’uno con la natura di cui faceva parte. Anche i lunghi capelli neri, sciolti sulle spalle, ondeggiavano a ogni folata, mentre i piedi scalzi affondavano sul terreno muschiato alle radici dell’albero per rafforzare tale unione.

«Voglio sapere.»

«Non puoi.»

«Devo.»

Freesia portò, quindi, lentamente la mano destra su Anima. Le sue sottili dita fremettero un poco nel toccare la gelida gemma, ritraendosi involontariamente una frazione di un secondo, prima di tornare senzienti a sfiorarne la liscia superficie. Indi socchiuse i begli occhi dorati, rivelatori della sua razza, per riuscire a concentrarsi meglio e non interrompere il contatto visivo, appena instaurato, con l’altra. Nessun battito di ciglia doveva spezzare l’integrità dell’incantesimo.

«Physalis…»

A quel richiamo l’altra donna si voltò di scatto verso Freesia. Benché fosse impossibile che riuscisse a vederla da così lontano, sapeva esattamente in che direzione e a che distanza Freesia si trovasse da lei. Di questo Freesia se ne avvide immediatamente, poiché sentì quello sguardo d’odio penetrarle la carne come una lama, facendola sussultare di dolore.

«Quanto tempo sorella. Lo sapevo che non saresti mancata. Anche tu vuoi assistere alla mia esecuzione? Vuoi vedere con i tuoi occhi il momento in cui ti libererai definitivamente di me?»

Freesia ascoltava quelle parole, che le arrivavano direttamente al cuore, impassibile, senza muovere un singolo muscolo del corpo, senza che nessun spasmo delle labbra o movimento delle sopracciglia rivelasse i suoi pensieri e sentimenti.

«Le guardie stanno per arrivare: se ti muovi, sei ancora in tempo per trovare un posto in prima fila. Ma no, troppo rischioso. Troppo pericoloso far vedere in giro il tuo volto così simile al mio, vero sorella? Preferisci – come sempre – rimanere in disparte a tramare nell’ombra.»

L’antico astio che Physalis nutriva per Freesia era riemerso intatto. Una miriade di ricordi le erano, infatti, riaffiorati alla memoria, come braci incandescenti appena celate dalla cenere.

Ma dopo un attimo, la donna sospirò e il viso, prima contratto dalla rabbia, si distese per lasciar spazio alla più cupa disperazione. Le parole che stava per pronunciare pesavano come macigni. In altre circostanze avrebbe dichiarato di preferire addirittura morire al doverle pronunciare, ma ora che la morte le si prospettava come qualcosa di concreto e prossimo era disposta – pur di salvarsi – a fare anche quel tentativo, ad accantonare l’antica acredine per chiedere aiuto alla sorella.

«Salvami, te ne prego.»

Freesia rimase turbata per un attimo da quelle parole: sapeva quanto dovevano esserle costate, ma represse subito quell’emozione, per tornare a riassumere il neutrale contegno precedente.

«Lo sai che non posso. Usa la tua magia.»

Physalis si ergeva bellissima al di sopra della pira, che tra non molto avrebbe purificato la sua anima malvagia col fuoco del giudizio degli uomini. In ginocchio sopra il legname accatastato, aveva polsi e caviglie legati stretti insieme. Un tronco dietro alla schiena ne manteneva diritto il busto, conferendo alterigia alla sua figura e fugando ogni possibile sentimento di pietà nei suoi confronti da parte degli abitanti di Acanto, radunatisi in piazza per vederla. Anche il collo della donna era legato al fusto a tale scopo, ma non con corda, bensì con uno splendido nastro di seta rossa damascata: il tessuto delle vesti delle regine… e delle puttane.

Physalis era bellissima e spietata. L’aderente e sontuoso corsetto di pelle nera, che le fasciava il torace, valorizzava le sue superbe forme di giovane donna, lasciando scoperti l’incavo dei seni e le morbide spalle da cui si scorgeva chiaramente il rossore dovuto alla recente bruciatura. Sulla spalla destra brillavano, infatti, al sole come rubini le crosticine formatesi sul marchio a fuoco impressole il giorno precedente: la “i” di interfector, di assassina. Le gambe erano integralmente nascoste da una lunga e ampia sottana, anch’essa nera, da cui si intravedevano solo le lisce piante dei piedi, coperte in parte dalle corde e dalle mani della donna.

«Non posso, non vedi il sigillo?»

Freesia non lo vedeva, ma sapeva che c’era. Sarebbe stata un’imprudenza troppo grande quella di credere di poter catturare una strega senza bloccarne il potere magico, una leggerezza imperdonabile che in passato troppi uomini avevano pagato con la vita.

Sul terreno intorno alla legna della pira erano state, infatti, tracciate con sangue umano sottili e precise linee riportanti in tutte le lingue dell’ovest gli incantesimi di negazione e blocco più arcani e potenti. Freesia ne percepiva la forza, sorprendendosi nello scoprire che vivesse ancora al mondo qualcuno in grado di realizzare un sigillo simile.

«Perché non provi con l’extremae salutis incantatio

Physalis, dimenticandosi per un attimo del fatto che Freesia rappresentava adesso la sua unica possibilità di salvezza, tornò a guardare in direzione della sorella col viso completamente trasfigurato dall’odio. Usare l’extremae salutis incantatio sarebbe stato per lei un azzardo troppo grande già in circostanze normali, figuriamoci adesso. Come poteva osare anche solo suggerirglielo proprio lei, che era la causa di ogni sua impotenza? Lei, la gemella buona scelta dalla madre per ereditare tutta la magia dei Felpher, la loro stirpe.

Physalis respirò profondamente, decidendo di provare ancora a supplicare l’aiuto della sorella.

«Non posso. Se avessi potuto, l’avrei già fatto. Aiutami manca poco… Freesia devi fare qualcosa, siamo sorelle. Non puoi lasciarmi morire così. Te ne prego.»

Freesia non rispose a quell’appello, rimanendo imperscrutabile a osservare la scena senza batter ciglio. Pensava. La sua mente viaggiava veloce, valutando ogni possibile conseguenza a ogni sua azione (o inazione). Prima di qualsiasi decisione, però, doveva sapere.

«Continuo a non capire perché non provi con l’extremae salutis incantatio

Freesia non aveva ancora terminato di parlare, che cominciarono a risuonare le campane di Acanto: dodici rintocchi e Physalis sarebbe stata giustiziata.

Don

Al primo rintocco le milizie del governatore, che sostavano intorno a Physalis in attesa di quel segnale, cominciarono a circondare ordinatamente la pira, facendo attenzione a non toccare il sigillo sulla pavimentazione della piazza per evitare di inficiarne il potere, spezzandone involontariamente coi piedi le linee.

Don

La popolazione del villaggio e delle campagne circostanti, che si era radunata nel frattempo nella piazza, cominciò a distribuirsi in circolo dietro alle guardie. Uomini e donne si accalcavano, gli uni sugli altri, per riuscire a garantirsi la visuale migliore su quella succulenta esecuzione. Da anni ad Acanto non veniva condannato nessuno alla pena capitale e quello era, pertanto, un evento a cui nessuno poteva e voleva mancare.

Ognuno aveva poi un suo personale motivo per non perderselo. I bambini erano spinti a vederlo dai genitori, che lo avrebbero utilizzato come monito, per mostrare loro ciò che accadeva a coloro che non rispettavano la legge. Le donne, scioccamente invidiose della bellezza di Physalis con cui non potevano competere, gioivano all’idea di liberarsi da una simile rivale in amore e desideravano vederne il bel viso deturpato, prima, e consumato, poi, dalle fiamme. Gli uomini, infine, si dividevano tra chi riteneva malvagia ogni strega e che, quindi, stava lì per garantire che giustizia fosse fatta e chi, da lei respinto in passato, ora godeva all’idea che la sfrontatezza della donna fosse punita e che nessun altro potesse più godere di quel frutto così inaccessibile e appetitoso.

Don

«Non posso perché sono incinta! Non posso uccidere il bambino per via del sigillo, altrimenti l’avrei fatto, e poi certo che avrei provato l’extremae salutis incantatio. Sono in trappola, non capisci!»

Don

Adesso finalmente Freesia capiva. Ora era chiaro il perché non avesse cercato di salvarsi la vita utilizzando quell’incantesimo: se Physalis avesse provato a smaterializzarsi con l’extremae salutis incantatio, l’unico in grado di superare ogni sigillo e sortilegio avverso a una strega in situazioni di estremo pericolo come quella, nel rimaterializzarsi avrebbe sicuramente fuso le sue cellule con quelle del feto, morendo, nel migliore dei casi, oppure trasformandosi in un abominio, nel peggiore. Non possedeva sufficiente magia per controllarne l’esito.

Freesia si stupì profondamente del fatto di non essersene accorta da sola. Sentiva nella sorella qualcosa di diverso, ma l’aveva attribuito al particolare frangente in cui si trovava. Probabilmente prima che la catturassero aveva lanciato qualche incantesimo di occultamento sul feto, non c’era altra spiegazione.

Quella scoperta la turbò profondamente: cosa doveva fare adesso? Lei non lo sapeva. Non riusciva più a prevedere ogni possibile relazione di causa – effetto legata a ogni scelta e questo la paralizzava, bloccandone l’azione.

Don

Le guardie, ormai disposte perfettamente in cerchio intorno alla donna, cominciarono ad accendere le fiaccole che di lì a poco avrebbero gettato sulla pira per innescarne la combustione. Il loro capitano, intanto, continuava a cospargere ulteriormente di olio la legna per essere sicuro che niente potesse salvarsi dalle fiamme, che si sarebbero generate una volta incendiatala. Il governatore era stato chiaro: nulla doveva salvarsi di quella assassina.

Don

Il governatore, già… Strano che non fosse lì, a presenziare all’evento, proprio lui che più di ogni altro avrebbe dovuto esservi: lui, che aveva voluto Physalis come consigliera, concedendogli la più totale fiducia; lui, a cui Physalis aveva ucciso la moglie; lui, che ne aveva decretato le sorti condannandola a morte sul rogo.

Che fosse ancor troppo provato dal recente lutto? O forse – pensavano i più maligni – erano altre le ragioni che gli impedivano di esservi…

Don

Il brusio degli abitanti di Acanto, che da un iniziale e quasi impercettibile ronzio era diventato un’assordante accozzaglia di voci, adesso si era completamente dissolto. Da che le campane avevano cominciato a suonare tutti si erano improvvisamente chetati: avevano fatto un respiro profondo e rivolto gli occhi in direzione della donna.

Don

«D’accordo, ti aiuterò. Ma non posso salvare tutti e due per via del sigillo.»

Don

Non aveva ancora terminato di pronunciare l’intera frase che Quercia le aveva manifestato il suo disappunto trasmettendole, tramite la mano ancora appoggiata sulla sua corteccia, una dolorosa vibrazione, che si era riverberata in tutte le sue carni come una scossa elettrica.

«Non puoi farlo Freesia, stai per commettere un terribile errore.»

Ma Freesia non sentiva niente. La sua concentrazione ora era totale, tanto che avrebbero anche potuto ucciderla senza che lei se ne accorgesse.

Don

«Se ti aiuterò, dovrai però rinunciare a tutti i tuoi poteri e ricordi per sempre.»

Physalis si sentì nuovamente avvampare dalla rabbia a quelle parole.

«Maledetta… Lo sapevo che c’era il trucco. Ecco dove volevi arrivare…»

Ma non concluse la frase, dato che il farlo non sarebbe servito a nulla: Freesia, che continuava a fissarla senza battere ciglio a decine di chilometri di distanza, non sarebbe tornata indietro rispetto a quelle condizioni e lei lo sapeva fin troppo bene. Solo una cosa le restava da fare: scegliere se rinunciare a se stessa o alla vita.

Don

«E sia. Uccidi il bambino e permettimi di salvarmi con l’extremae salutis incantatio

Don

All’ultimo rintocco delle campane, le guardie si voltarono verso il cumulo di legna per gettarvi sopra le fiaccole e appiccare, finalmente, il fuoco del giudizio. Ma nell’esatto momento in cui tutti, effettuato il lancio, alzarono gli occhi sopra la catasta per vedere Physalis ardere, si avvidero che la donna era scomparsa. Sulla pira restavano ad ardere solo le vesti e le corde che fino a quel momento avevano tenuto bloccati gli arti della donna.

Nello stupore generale, un forte aroma di fiori si spanse velocemente nella piazza, un profumo tale da essere capace di placare per qualche istante l’animo degli uomini, prima che questi tornassero in sé e cominciassero a organizzarsi per ricercare la fuggitiva.

Freesia, pronunciato l’incantesimo, si era sentita attraversare da un’ondata di energia così forte che aveva perso immediatamente i sensi, cadendo distesa sulle radici di Quercia.

Come se un fulmine l’avesse colpita, aveva sentito un enorme calore pervaderle il corpo e un potente flusso elettrico attraversarle ogni singola cellula del corpo privandola del respiro.

Non sapeva quanto a lungo fosse rimasta svenuta, dato che quando si riprese era ormai notte inoltrata.

Si alzò a fatica da terra e, quando fu perfettamente eretta, si accorse di star ansimando e di avere la fronte imperlata di sudore: era sfinita. Qualcosa era cambiato in lei in una maniera così profonda e violenta da farle mancare il fiato.

Rivolse a quel punto il suo sguardo verso Acanto, illuminata a giorno. Che stava accadendo? Ah, già, probabilmente erano le squadre delle guardie e le ronde dei cittadini ancora intenti a capire dove Physalys si fosse nascosta. Che cercassero pure. Il posto, in cui la sorella era andata, era troppo remoto, perché riuscissero a trovarla, e sotto una giurisdizione diversa da quella del governatore.

Si augurò di avere fatto la scelta giusta, dato che adesso non c’era più possibilità di ripensamento e redenzione alcuna.

Raccolse così le poche forze che ancora le rimanevano e ringraziò Quercia, che in quelle ore di incoscienza si era presa cura di lei, nascondendola tra le proprie radici e coprendola di foglie per celarla al resto del mondo.

«Sei sicura di esserti liberata definitivamente di lei? Sarebbe stato meglio lasciarla al suo destino.»

L’albero non aveva approvato la decisione presa da Freesia ed era in pensiero per lei.

«Sì e no.»

«Cosa vuoi dire?»

Al che Freesia si porto entrambe le mani sull’addome e debolmente sorrise.

«Ho cancellato dalla memoria di Physalis ogni ricordo del suo passato. Quando si risveglierà dall’incantesimo, non ricorderà più nulla di ciò che è stato. Ora, che è priva anche di quella poca magia che possedeva, potrà finalmente riuscire a vivere una vita serena e lontana dai guai, diventando forse una persona migliore.»

Da un albero vicino arrivò l’acuto stridio di una civetta, levatasi in volo per cacciare.

«Perché hai detto sì e no allora?»

Quercia non riusciva a comprendere.

«Non sono riuscita a uccidere la creatura, anzi la bambina che portava nel ventre. Ho usato l’extremae salutis incantatio su di lei e adesso mia nipote cresce in me. Quando nascerà, l’alleverò come se fosse mia e al momento giusto le passerò quel potere che Physalys tanto bramava e che non è giusto muoia con me.»

Una folata di vento fece scricchiolare tutti i rami di quercia a testimonianza del suo disappunto.

«Non sai quello che hai fatto.»

«Forse hai ragione, non lo so. Ma, quando non sono riuscita a decidere con la testa, ho deciso di farlo col cuore e ora siamo qui.»

Rispose Freesia con un filo di voce. Attese, quindi, un attimo e poi riprese.

«I poteri della mia stirpe si tramandano da madre a figlia e, dato che io sono sola, la mia stirpe sarebbe finita con me. Quando ho scoperto, però, di lei, qualcosa mi si è mosso dentro: un’emozione e una consapevolezza. Tutto mi è apparso chiaro: non sarei stata io, ma lei l’ultima dei Felpher.»

Freesia soffiò a quel punto leggermente su Anima, che si illuminò immediatamente di una luce fioca e calda, quasi si trattasse di una fiaccola. La donna sfiorò allora con il dorso della mano destra il tronco di Quercia per accomiatarsi e voltò le spalle ad Acanto.

Emise, quindi, un profondo sospiro e decise infine di imboccare il sentiero, illuminato dalla gemma, che l’avrebbe ricondotta alla sua dimora: lei e la piccola adesso dovevano riposare.

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