“Maledetta. Alla fine dovrai rassegnarti.”
Sussurrai piano per non essere sentita da altri che lei.
Quindi uscii lentamente dalla stanza senza smettere di fissarla. Non volevo volgerle le spalle: d’istinto sapevo di non potermi fidare di quel suo sguardo senza espressione e solo all’apparenza innocuo.
Raggiunsi così Marco in salotto e mi sedetti accanto a lui nel divano a guardare la fine di un programma in televisione.
Non erano trascorsi, però, nemmeno dieci minuti che giunse anche lei a reclamare le sue attenzioni. Con un balzo salì sopra le sue ginocchia, si acciambellò tra le sue gambe ed iniziò a fare le fusa.
“Non si può stare nemmeno un attimo da soli che arriva lei!”
Sbottai, senza pensare, e d’istinto mi allontanai da entrambi.
“Suvvia… Non sarai mica gelosa? Ricordati che lei c’era prima di te.”
Sentenziò Marco, ridacchiando della mia reazione, mentre le carezzava la testa al ritmo del suo ron ron.
Ma la mia non era gelosia, lui non capiva.
Presi in mano lo smartphone che avevo appoggiato sopra il tavolo da fumo e guardai l’orario: erano già le undici e quarantacinque.
“È un quarto a mezzanotte. Io vado a letto. Te che fai? Resti qui o vieni in camera con me?”
Marco si voltò verso di me sorpreso e, senza smettere di coccolare la piccola bastarda, aggiunse:
“No, no, vengo anch’io. Te avviati, io ti raggiungo tra un attimo. Solo non credevo che fosse così tardi.”
A quel punto mi alzai e mi diressi in bagno per prepararmi a dormire.
Ero già sotto le coperte quando Marco entrò in camera.
Si sedette sul bordo del letto ed iniziò a spogliarsi con calma.
A quel punto mi girai verso di lui su un fianco e con un filo di voce gli chiesi di chiudere la porta.
Lui mi sorrise indulgente e accontentò subito.
“Soddisfatta adesso?”
“Sì.”
Bisbigliai dolcemente e, quando lui mi si coricò accanto, gli dimostrai la mia riconoscenza con un bacio che era più di una promessa d’amore.
“Già le sette?”
Allungai la mano sul comodino per spegnere la sveglia che trillava senza pietà da almeno due minuti.
Era ora di alzarsi.
Senza aprire gli occhi allungai l’altro braccio alla ricerca del tepore del corpo di Marco. Niente, doveva essersi già alzato per andare a preparare la colazione ad entrambi.
Quel pensiero in un primo momento così rassicurante fece scattare in me un campanello d’allarme.
Mi tirai su a sedere sul letto e, dopo aver inspirato profondamente, quando notai la porta socchiusa della stanza. un fremito di rabbia percorse ogni fibra del mio corpo.
Voltai il viso verso il pavimento dalla mia parte del letto e lo vidi. Vidi il simpatico souvenir che Milù aveva lasciato quella mattina per augurarmi un buongiorno.
Doveva essersi intrufolata in camera non appena era uscito Marco e, per dimostrarmi la sua acredine, aveva defecato sul tappetino dove avrei dovuto scendere io.
“Marco. Marco vieni. La stronza della tua gatta lo ha rifatto.”
Urlai stizzita, affinché lui mi sentisse. Infatti, dopo nemmeno due secondi Marco era dinnanzi a me per controllare cosa avessi.
Sempre seduta sul letto gli indicai la malefatta della sua gattaccia e mi misi a studiare la sua reazione.
Marco allontanò il tappetino dal letto e aggiunse indulgente:
“Ci penso io a pulire. Adesso però alzati dal letto, che di là è pronto. Altrimenti si fredda.”
“Ma non dici niente? Lo vedi che ho ragione a pensare che Milù mi odia… Questa sarà la quarta, quinta volta che lo fa!”
Ero basita dalla sua reazione, anzi dalla sua assenza di reazione.
“Ora non esagerare, i gatti non odiano nessuno. Devi darle solo il tempo di abituarsi alla tua presenza. Siamo stati soli tanto a lungo… E lo sai che i gatti sono territoriali.”
No, lui non capiva. Quella non era difesa del territorio, era una dichiarazione di guerra e mi sembrava impossibile il fatto che lui non se ne rendesse o non se ne volesse rendere conto. Milù aveva aperto le ostilità: lei ed io adesso eravamo in lotta, rivali in amore alla conquista dell’affetto esclusivo di Marco.
Nell’udire quelle parole mi innervosii ancora di più: com’era possibile che la difendesse ancora? In fondo era anche colpa sua che, uscendo dalla stanza, si era dimenticato per l’ennesima volta di chiudere la porta.
Prima di arrabbiarmi anche con lui e fare quindi il gioco di quella perfida bastarda, respirai profondamente un paio di volte per tranquillizzarmi.
“Ma ha sempre la diarrea la tua gatta? Non può almeno cacare normalmente? Cosa accidenti le dai da mangiare?”
Marco si mise a ridere alle mie parole ed io con lui.
“Dai vestiti e vieni di là. Io intanto apparecchio.”
“Ok!”
Guardai Marco uscire dalla stanza e mi misi a riflettere: prima o poi avrebbe dovuto scegliere tra lei e me, ma evitai di porgli quell’aut aut quel giorno, perché in cuor mio sapevo che con buone probabilità mi si sarebbe ritorto conto.
Con quel pensiero e la sensazione di aver perso quella mattina l’ennesima battaglia mi alzai dal letto e preparai ad affrontare una nuova giornata con lui e l’altra.
[Racconto pubblicato nella raccolta “Il mio piccolo gatto”, MonteGrappa Edizioni (codice ISBN: 978-88-9582-666-0)]
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