Tarassaco

Amin colpì col piede una pietruzza e si sdraiò, supino, a terra accanto a Elsa. Incrociò le mani dietro la testa e si mise a guardare il cielo in silenzio. Stufo di cercare di immaginare da solo forme nelle nuvole, dopo un paio di minuti non resistette più e le chiese:

«Cosa stai facendo?»

Pronunciò quelle parole così, con finto disinteresse, come si fa quando si vuole rompere il ghiaccio dicendo una cosa qualunque. In realtà moriva dalla voglia di sapere cosa avesse catturato l’attenzione della sua amica. Elsa stava, infatti, da tempo con la pancia a terra e il busto rialzato sui gomiti a fissare una piantina senza parlare.

«Ssssst», fece lei, portandosi l’indice della mano destra alla bocca, e, senza voltarsi, aggiunse «non mi distrarre».

Amin interpretò quelle parole come un invito e si mise anche lui prono sul terreno.

«Fai vedere», disse, avvicinandosi a lei. «Ma è solo un soffione!» Esclamò subito dopo, deluso.

«Ssssst. Vuoi stare zitto, sto cercando di concentrarmi», ribatté Elsa, continuando a guardare davanti a sé.

Il bambino, incuriosito, si fece largo verso la pianta, strisciando con le braccia sull’erba. Quando i loro profili furono allineati, si voltò in direzione dell’amica e sussurrò piano:

«Mi dici che cosa ci trovi di tanto interessante in un soffione?»

«Non si chiama soffione, il suo nome è tarassaco!» Rispose lei, con quel tono di superiorità che Amin conosceva fin troppo bene, ma che finse di non riconoscere.

«Ebbene?» Chiese ancora, nella speranza di ricevere una risposta più esauriente.

Questa non si fece attendere a lungo; Elsa, infatti, dopo qualche altro secondo di silenzio, si decise a confessare:

«Questa pianta è magica».

Amin strabuzzò gli occhi e, senza pensare, replicò:

«Mi stai prendendo in giro, vero?»

«Certo che no», rispose lei, affrettandosi ad aggiungere «l’ho letto nel diario di mia sorella: questa pianta è in grado di rivelare il futuro».

«Giura!» Gridò Amin, scattando in piedi.

Subito dopo si vergognò di quella reazione esagerata e tornò giù.

Quell’affermazione, però, cambiava tutto: se era stata Alejandra, la sorella maggiore di Elsa a scrivere una cosa simile nel proprio diario, allora questa eventualità era quantomeno da prendere in considerazione.

«Spiegati meglio», disse il bambino, una volta tornato a terra, cercando di darsi un contegno.

«Allora», riprese Elsa, facendosi seria. «Ho letto velocemente la pagina, per non farmi trovare da lei col diario in mano. C’era scritto qualcosa tipo “per sapere se un desiderio si realizzerà basta soffiare sull’infruttescenza di un tarassaco. Se tutti i semi si staccheranno con un solo soffio del cuore, allora il desiderio che si è espresso è destinato ad avverarsi”».

Amin guardava adesso Elsa a bocca aperta, combattuto tra il crederle e il non crederle. Alla fine, decise di sospendere il giudizio e aspettare di saperne di più prima di decidere.

«Che cos’è un’infruttescenza?» Chiese per capire.

«È l’insieme dei semi, che restano dopo che il fiore si è seccato», rispose Elsa, indicando ad Amin l’estremità sferica e piumosa di uno degli steli della pianta. «Questa qui».

Amin, sempre più curioso, allungò la mano per reciderlo, quando l’amica gli afferrò con forza il polso per bloccarlo.

«Aspetta!»

«Perché?» Domandò un istante dopo il bambino, stupito dalla reazione violenta dell’amica, cui non era abituato.

Elsa allora sospirò forte e chiarì il motivo di quel gesto.

In base a quello che era riportato nel diario della sorella, il potere del tarassaco non andava utilizzato con leggerezza. Innanzitutto, era necessario trovare un’infruttescenza perfetta, in cui non doveva mancare neppure un seme. Inoltre, una volta interrogata la pianta, bisognava attendere che il desiderio espresso si realizzasse o meno con certezza, per poterci riprovare di nuovo. E questo, a seconda di ciò che si era chiesto, poteva necessitare anche il passaggio di molti anni se non addirittura dell’intera vita.

«Nel diario di Alejandra, tra le pagine, c’era conservato uno stelo già secco. Chissà che desiderio ha espresso…» Terminò di dire Elsa, sovrappensiero.

«Meno male c’avevi dato solo una sbirciatina a quel diario», commentò, divertito, Amin, dopo averla ascoltata. Quindi aggiunse, indicando lo stelo che poco prima stava per cogliere: «E questo qui è completo?»

«Sì ed è mio», rispose Elsa, come se stesse parlando solo a se stessa.

A quel punto la bimba si avvicinò alla pianta col viso e, dopo aver inspirato forte, vi soffiò sopra con tutta l’aria che aveva nei polmoni. Decine di acheni si dispersero nell’aria, come eleganti ballerine intente a volteggiare nei loro tutù bianchi, ma un seme rimase, però, saldamente ancorato al suo capolino.

Amin si girò per vedere l’espressione dell’amica e prenderla in giro (Elsa, la perfettina, quella che non sbagliava mai niente, adesso aveva fallito), quando scorse due lacrime scendere parallele sulle sue guance. A quella vista, il bambino si sentì percorrere come da una scossa elettrica e, spiazzato da quella strana sensazione, decise di rimanere accanto a lei a fissare in silenzio quell’unico pappo che non si era deciso a prendere il volo.

Stava oramai tramontando il sole, quando Elsa si alzò da terra. Scosse i pantaloni con le mani per eliminarvi ogni traccia di terra e si asciugò il naso con il dorso della mano sinistra. Amin la imitò subito e, senza parlare, come per un tacito accordo, i due si diressero, camminando lentamente insieme, verso il paese.

«Grazie», bisbigliò Elsa, alla vista delle prime abitazioni.

Quelle parole diedero il coraggio al bambino di chiederle:

«Che desiderio avevi espresso?»

Come se non avesse sentito, lei continuò a camminare in silenzio con lo sguardo fisso dinanzi a sé.

«Scusami», aggiunse allora Amin, vergognandosi della mancanza di tatto che aveva dimostrato un attimo prima.

Dopo qualche altro passo, però, Elsa di punto in bianco parlò.

«Che la nonna guarisse presto e smettesse di stare così male».

Dal tono della sua voce, Amin capì quanto le era costato fargli quella confidenza e quanto stesse lottando con se stessa per non ricominciare a piangere. Fu in quell’esatto momento che notò sul terreno al lato del sentiero, proprio al limitare dell’ingresso nel villaggio, una piccola pianta di tarassaco. Si piegò giù a scegliere il capolino, che sembrava avere più semi, e ne recise lo stelo.

«Secondo te è completo?» Chiese, una volta rialzatosi, all’amica.

«Direi di sì», rispose lei, tornando ad assumere quell’espressione saccente, che le era abituale.

«Perfetto».

Amin se lo portò allora davanti alla bocca e soffiò contro di esso più forte che poté. La sua fatica non fu vana, poiché stavolta tutti gli acheni presero il volo, abbandonando il capolino.

«Bravo», sussultò Elsa di quello che sembrava un sincero entusiasmo. «Che desiderio hai espresso?»

Amin storse la bocca in una smorfia e le domandò:

«Se te lo dico si avvererà lo stesso?»

«Ma certo», chiarì Elsa, senza aspettare che lui finisse la frase. «Nel diario non ho trovato niente a riguardo».

Amin sorrise al pensiero di quanto tempo l’amica avesse trascorso a studiare quelle pagine e poi a decidersi a consultare la pianta per sapere del destino della nonna.

«Dai, dimmelo, io te l’ho detto prima», lo incalzava la bambina, mentre intanto continuavano a camminare.

Lui rideva e faceva cenno di no a ogni espressione d’impazienza dell’amica.

Quando furono arrivati, infine, davanti alla porta della casa di Elsa, Amin, le cui guance si erano nel frattempo colorate di un insolito rossore, si voltò in direzione dell’amica, le prese una mano tra le sue e urlò in faccia:

«Il desiderio che ho espresso al soffione è quello di non vederti piangere più».

Detto ciò, il bambino si avvicinò al volto stupito di Elsa, le diede un rapido bacio sulla guancia e corse via.

Dopo averlo guardato scappare, Elsa rimase ancora qualche minuto, davanti all’uscio di casa a ripensare alla richiesta dell’amico. Ancora a bocca aperta, aprì la mano, che poco prima Amin aveva stretto, e all’interno del palmo trovò il suggello del desiderio che lui aveva espresso.

A quel punto, sul viso di Elsa le labbra s’incresparono in un accenno di sorriso, richiuse la mano ed entrò in casa. Quel giorno aveva capito che non era solo il tarassaco a essere magico, ma lo era anche, e soprattutto, l’amicizia.

[Racconto pubblicato nella raccolta “Scarpette Rosse”, casa editrice Le Mezzelane (codice ISBN: 978-88-33288-19-2)]

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