Ma festeggiano San Valentino in Francia?

«Che ansia: ancora pochi minuti e lo “conoscerò”. Mi piacerà? Gli piacerò? Lo spero così tanto… Ma è inutile pensarci adesso, tra poco lo scoprirò comunque. Dio mio, devo essere completamente pazza. Sì, devo esserlo davvero, altrimenti non parlerei da sola adesso e non mi sarei mai infilata in una situazione simile. Tutto questo non è da me, non è da me.»

Sabrina pronunciò quelle parole ad alta voce davanti allo specchio del bagno della camera dell’hotel di Milano in cui si trovava. Voleva studiare il suo viso mentre parlava: che espressioni assumeva, se era gradevole da vedere o se, emettendo qualche suono, si contraeva in una smorfia. Ripeté il tutto anche in francese, cercando di assumere il contegno più naturale possibile e abbozzando qua e là qualche sorriso. Fatto ciò, si sentì un po’ più stupida, ma anche più tranquilla circa il suo aspetto.

Si avvicinò ulteriormente allo specchio, per vedere se il trucco era ancora a posto o se era necessario effettuare qualche piccolo ritocco, quindi andò a sedersi sul letto della camera. Posò le mani sulle ginocchia e, con il cuore che batteva così forte da confondersi con i passi degli altri ospiti dell’albergo che sentiva andare su e giù per il corridoio del suo piano, respirò profondamente.

Era tardi per avere ripensamenti: Vincent di lì a poco sarebbe sceso dall’aereo e salito sul taxi che l’avrebbe condotto all’hotel, dove lei lo stava aspettando già da un paio d’ore. Forse l’avrebbe chiamata una volta atterrato per avvertirla, o forse no: il countdown era cominciato e a lei adesso non restava che attendere. Certo, poteva ancora scappare, correre alla stazione e prendere il primo treno diretto per Firenze, ma rinunciare a ogni “possibilità” con lui per paura non era ciò che voleva.

Passò, quindi, minuziosamente in rassegna per la centesima volta ogni indumento che portava addosso per verificarne l’adeguatezza: un lupetto nero a coste sagomato in vita, una gonna sopra il ginocchio a portafoglio melangiata sul grigio e uno stivale di pelle nera con tacco alto (ma non troppo), che le fasciava i polpacci. Non indossava nessun gioiello, ad eccezione di un orologio di acciaio e un grande anello a fascia d’argento sull’indice della mano destra, che l’aveva accompagnata nei momenti più importanti della sua vita: la discussione della laurea, il colloquio di lavoro con il responsabile del personale della società assicurativa dove lavorava adesso, il giorno in cui aveva lasciato Lorenzo dopo 10 anni di fidanzamento e 5 di una convivenza senza passione.

Sabrina trovava il suo look equilibrato: elegante ma non troppo, femminile e sobrio. Sapeva che il successo del loro primo incontro sarebbe dipeso in larga parte dall’impressione che avrebbero avuto subito l’uno dell’altra nel vedersi dal vivo e aveva deciso di andare sul sicuro, almeno relativamente all’abbigliamento. Biancheria intima compresa. Sotto, infatti, indossava un completo (rigorosamente nuovo) semplice ma grazioso, con canottiera abbinata. In realtà avrebbe preferito indossare una lingerie più sexy, ma temeva che l’avrebbe fatta apparire un po’ troppo “disperata”, nel caso in cui la serata si fosse conclusa nella stanza di uno solo dei due. Così solo nelle autoreggenti velate 20 denari nere si era concessa qualche pizzo, perché – a suo avviso – i collant non si potevano proprio vedere in certe circostanze.

Sempre seduta sul letto, guardò di sfuggita l’orologio, più per un vezzo che per una reale esigenza di conoscere l’ora, che lampeggiava prepotente anche nel decoder posizionato sul cassettone della stanza, e nel datario vide che era il 14.

Sussultò impercettibilmente nel leggere tale cifra, perché solo in quel momento realizzò che era San Valentino.

Come aveva fatto a non rendersene conto prima? Quando aveva proposto quel fine settimana a Vincent era stato solo in funzione del periodo e del luogo che le tornavano meglio in termini di impegni lavorativi (oltre che del fatto che lui non avrebbe aspettato ancora a lungo a incontrarla di persona), ma rimase comunque impressionata da quella casualità, che interpretò come un segnale del destino. Anche se razionalmente non credeva nel fato, subiva comunque la fascinazione delle coincidenze, soprattutto quando erano così evocative: San Valentino era, difatti, la festa degli innamorati, e loro lo erano e lo sarebbero stati ancora per almeno altri trenta – quaranta minuti.

«Ma festeggiano San Valentino in Francia?»

Anche se si rendeva conto della stupidità del suo dubbio, cercò comunque per sicurezza sul suo smartphone “Saint Valentin en France” per rassicurarsi definitivamente a riguardo.

San Valentino… Chissà se lui se ne era accorto, oppure se anche a lui era sfuggita quella ricorrenza. O magari ci aveva fatto caso ma, ritenendola una festa troppo commerciale, non la riteneva degna di essere celebrata e per questo non ne aveva mai fatto menzione nei suoi messaggi.

«Oddio, allora si sarà fatto l’idea che io sia infantile o frivola, o che mi aspetto un qualche dono da lui per l’occasione. Meglio far finta di nulla. Ma se mi porta dei fiori? Io non gli ho preso nulla… E se, invece, non mi regala niente, nemmeno un cioccolatino? Ora che so che giorno è oggi, ci resterò di sicuro male. Non devo crearmi aspettative. Uffa, Sabrina basta. Arrête – toi! Come al solito mi sto facendo troppe seghe mentali. Sono proprio la regina delle seghe mentali, la reine de… de… La reine de quoi?»

Non solo il suo cuore andava a mille ora, ma pure la sua testa che stava elaborando contemporaneamente un’infinità di possibili esiti al loro incontro associati al fatto che lui si fosse accorto o meno di che giorno fosse quello.

Resistette a stento alla tentazione di cercare nel traduttore di google il corrispettivo in francese dell’espressione “seghe mentali” e si ricordò che una volta un suo ex aveva paragonato il suo cervello a un criceto che girava senza sosta su una ruota dentro a una gabbia. In quell’occasione si era offesa, ma adesso costatava amaramente che non aveva poi tutti i torti.

«Oui, c’est sûr: je suis folle. “Il me rend folle”.»

Sabrina sorrise del ricordo che la sua parafrasi le aveva evocato e chiuse gli occhi per sentirlo più vicino.

Lei e Vincent si erano conosciuti cinque mesi prima su un gioco di ruolo online per tablet, che lei aveva acquistato come alternativa alla televisione per le tante serate che passava da sola a casa da quando era tornata single. Nel gioco era una guerriera di razza elfica, mentre lui un assassino umano. Una sera di metà settembre, mentre lei era impegnata in una missione che l’avrebbe fatta salire di livello, lui era corso in suo soccorso, aiutandola a sconfiggere dei nemici, e da allora non si erano più separati.

All’inizio si erano scritti in inglese nella chat del gioco, utilizzando i nomi dei loro personaggi, ma quasi subito si erano confidati le loro vere generalità. Così, quando Sabrina aveva scoperto che Vincent era di Toulouse aveva deciso di rispolverare il suo francese (valorizzando finalmente gli anni passati a studiarlo a scuola), che era diventato la lingua ufficiale del loro rapporto. Anche il gioco in sé per sé era passato in secondo piano, divenendo ben presto solo il tramite per trascorrere la serata assieme: si davano appuntamento dopo cena e andavano avanti a scriversi fino all’una, le due di notte. (Non essendo Vincent completamente “libero”, preferiva chattare lì con lei piuttosto che farsi scoprire a mandare messaggi su Whatsapp o qualsiasi altra applicazione simile).

Vincent, che aveva trentotto anni (quattro più di lei) e faceva il pittore, era in crisi con la sua compagna, che lo aveva tradito con un collega di lavoro, e, anche se lui giurava che con lei era finita da quando un paio di mesi prima aveva scoperto la loro relazione, i due vivevano ancora insieme nello stesso appartamento di cui condividevano l’affitto.

Sabrina fin da subito aveva cominciato a fantasticare su di lui e sul suo lavoro, che era quello che aveva sempre desiderato fare nella vita, ma a cui aveva rinunciato per scelte almeno all’apparenza più sicure, come la laurea in “Economia e Commercio”. All’inizio aveva ingenuamente pensato a lui come a un artista di strada, uno spiantato tipo quelli che vedeva ogni giorno appostati lungo il piazzale degli Uffizi; quando aveva, però, scoperto che le sue opere erano esposte in alcune importanti gallerie di Toulouse e Bordeaux, si era sentita intimorita e improvvisamente insicura, non all’altezza di lui e del suo sogno.

Dopo pochi giorni si erano scambiati indirizzo e-mail e numero di cellulare. Era cominciato tra loro così anche un intenso scambio di lettere bellissime che lui firmava rigorosamente “ton assassin”. Ogni volta che Sabrina ne riceveva una si scioglieva e passava ore a rileggerla e a ponderare ogni singola parola da usare come risposta. Ogni tanto si telefonavano anche, ma poiché lui lavorava soprattutto di notte, dormendo di giorno, quando invece lei era in ufficio, era molto complicato riuscire a trovare un momento che andasse bene a entrambi (dopo cena non potevano farlo, perché lui non voleva che la sua presunta ex sapesse di loro).

Nessuno dei due aveva un profilo Facebook, così, mentre lei aveva scoperto subito il suo volto, facendo delle ricerche mirate su Internet (in cui aveva trovato tra l’altro una sua breve biografia), Vincent era completamente all’oscuro circa l’aspetto di Sabrina. Una volta le aveva chiesto se somigliava o meno al suo personaggio sul gioco, ma aveva ottenuto come unica risposta:

«Pas les oreilles pointues et les yeux rouges

Questo l’aveva intrigato molto e da allora aveva cominciato a insistere per ricevere qualche foto di lei. Così, tra le confidenze che si scambiavano ogni giorno, avevano iniziato a svelarsi anche fisicamente poco a poco l’uno all’altra, inviandosi con cadenza settimanale per e-mail immagini di singole parti del loro corpo.

Sabrina aveva cominciato con un’immagine de ses clavicules, da cui lui aveva ricavato anche il colore della sua pelle e dei suoi lunghi capelli color biondo – miele. Poi era seguito uno scatto dei polpacci (mollets), della cui tonicità andava molto fiera e che aveva valorizzato inquadrandoli di profilo e calzando dei sandali neri con tacco 12, che li mantenevano in tensione. Quindi erano seguiti piedi, mani con unghie laccate di rosso, collo, labbra e cosce. 

Anche lui era stato al gioco, rispondendo a ogni immagine di Sabrina con una sua foto. Le aveva mandato così il suo braccio destro (mano compresa), il suo torace, la sua schiena con sedere annesso, il suo viso in bianco e nero con e senza occhiali e, infine, tutta la parte destra del suo corpo nuda e sapientemente tagliata da uno specchio per non mostrare più del dovuto.

Col passare delle settimane le loro conversazioni erano diventate sempre più confidenziali e intime, tanto che per chiamarsi usavano adesso per lo più solo vezzeggiativi. Si sentivano legati l’uno all’altra e il tempo che trascorrevano assieme era diventato il più importante della giornata. Così, una sera, scherzando Sabrina aveva scritto a Vincent che era matto. Lui le aveva risposto immediatamente con tre messaggi, uno dietro all’altro, in un italiano perfetto:

«Ti amo.»

«Ma non sono pazzo.»

«Tu mi rendi pazzo.»

In questo modo lui si era finalmente dichiarato, mentre Sabrina, superato il primo istante di shock, si era sentita avvampare da una fortissima ondata di calore e felicità, grazie ai quali si era accorta di amarlo anche lei da moltissimi giorni oramai.

Questa svolta era stata il preludio alla decisione di entrambi di conoscersi una volta per tutte di persona, anche se non era facile. Da una parte per via della “coinquilina” di Vincent, ancora all’oscuro di loro due, dall’altra a causa di Sabrina che non voleva ospitarlo direttamente a casa sua. In fin dei conti uno che si firmava ton assassin poteva benissimo essere un serial killer e di storie di donne finite male per via di relazioni cominciate come la loro erano pieni i giornali .

Lei aveva cercato quindi di prendere tempo, ma dopo un paio settimane lui si era stufato del suo tergiversare e le aveva imposto un ultimatum: o si vedevano entro febbraio o tra di loro sarebbe definitivamente finita.

Non volendo certo rischiare di perderlo, Sabrina si era decisa a fissare per metà febbraio il loro primo incontro, che si sarebbe tenuto a Milano, un territorio neutro facilmente raggiungibile da entrambi, dove lei doveva recarsi per un corso di formazione della durata di tre giorni e lui avrebbe potuto visitare la pinacoteca di Brera per ammirare il quadro di un pittore a cui teneva molto (il “Cristo Morto” del Mantegna).

Sabrina riaprì gli occhi e sorrise di quel flusso di ricordi meravigliosi che le erano tornati alla mente e cominciò ad avere una certa impazienza all’idea di poter verificare di persona (a pelle) la chimica che si era instaurata tra loro “telematicamente”.

Che ore erano però? Guardando nel decoder, Sabrina si accorse che era passata più di un’ora e mezzo da quando Vincent avrebbe dovuto raggiungerla nell’albergo. Di lui nessuna notizia. Guardò su Whatsapp per vedere se aveva letto il messaggio di benvenuto in Italia che gli aveva mandato, ma dal singolo flag di spunta grigio capì che non gli era neppure stato consegnato. Che avesse il cellulare ancora in modalità aereo? Provò quindi a chiamarlo, ma in ognuna delle otto volte in cui lo fece entrò la segreteria telefonica.

Dopo un altro paio di tentativi, Sabrina fu assalita dal dubbio che Vincent non avesse mai preso quel volo, che avesse deciso di rompere con lei e, non avendo il coraggio di scriverglielo o di comunicarglielo a voce o di persona, l’avesse fatto in quella maniera così vigliacca e crudele.

Una forte sensazione di angoscia la pervase improvvisamente, insieme a un acuto dolore al petto. Sabrina soffriva. Si portò entrambe le mani sullo sterno, ma il suo gesto non servì ad alleviare il malessere che provava. Non sapeva che fare, che pensare. Non era arrabbiata per quello che lui le aveva fatto, ma disperata all’idea di averlo perso. La sua sofferenza non derivava nemmeno per un’infinitesima parte dall’orgoglio ferito di una donna abbandonata, ma solo dalla consapevolezza che da quel momento lui non faceva più parte della sua vita insieme alla gioia che vi aveva portato.

Mentre stava cercando di metabolizzare quel pensiero e di non piangere, cominciò a squillare il telefono della sua camera. Sabrina, nonostante il groppo in gola, si sforzò comunque di rispondere. Alzò il ricevitore e:

«Pronto?»

«Allô Sabrina, c’est moi. J’ai oublié de recharger mon téléphone et il s’est éteint pendant que j’étais encore en France. J’y avais enregistré l’adresse de l’hôtel. Heureusement je me suis souvenu enfin de son nom et je suis réussi à arriver. Maintenant je suis dans le hall, si tu as envie de me rejoindre…»

Sabrina, che fino a quel momento era riuscita a trattenersi, nel sentire la voce di Vincent cedette all’emozione e calde lacrime le iniziarono a fluire lentamente dagli occhi. Sospirò quindi profondamente senza riuscire a emettere alcun suono dalla bocca.

«Chaton, tout bien?»

Vincent era lì che aspettava una risposta. La testa di Sabrina era, però, completamente vuota, niente di sensato le veniva alla mente. Dopo un altro paio di secondi di silenzio inspirò più aria che poteva nei polmoni e, riuscendo finalmente a uscire da quel momento di black out, si decise di getto a dire:

«Mais on célèbre la Saint-Valentin en France?»

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