In-yun

A inizio anno ho visto “Past Lives”, il film di debutto come regista di Celine Song (2023); film bello e commovente su sensazioni e sentimenti in cui, a tratti, mi sono identificata.

Con un interessante parallelismo con “Perfect Days”, il film, sempre del 2023, di Wim Wenders, anche “Past Lives” ruota intorno a una parola, nello specifico “In-yun”.

Con questo termine, nel film, viene suggerito che in coreano si rappresenti la predestinazione esistente tra due persone, che in qualche modo sono destinate a incontrarsi nella vita, fosse anche solo attraverso lo sfioramento delle mani in metropolitana o dei vestiti camminando in una strada trafficata. “In-yun” è ciò che lega tra di loro due persone, al di là del fatto che nella vita reale finiscano poi per conoscersi davvero; questa effettiva unione, se non nell’attuale, magari si è avuta in una vita precedente o la si avrà in una futura.

Non voglio raccontare il film, di cui consiglio a tutti la visione, ma condividere le riflessioni che ne sono scaturite.

Questa suggestione mi ha ricordato la leggenda cinese o giapponese, non ricordo, dell’invisibile filo rosso, che lega il mignolo della mano sinistra di ciascuno di noi a quello della rispettiva anima gemella. Le due persone, i cui mignoli sono uniti da questo filo, prima o poi finiranno per incontrarsi e stare insieme perché questo è il loro destino.

Personalmente non credo al destino, anche se ne subisco comunque la fascinazione. Trovo, però, divertenti le coincidenze e il modo in cui ricerchiamo segnali in esse.

Il concetto di destino, secondo me, risponde in primo luogo all’esigenza di trovare ordine nelle nostre vite, di dar loro un senso. L’idea che sia il caos a governare le nostre esistenze, o che esse stesse lo siano, può fare paura.

In secondo luogo, questo concetto ci de-responsabilizza (o può de-responsabilizzarci) dal metterci in gioco davvero. Quante volte abbiamo pensato: se questa cosa è destino che accada, accadrà a prescindere da tutto quello che io posso fare o non fare in merito.

Le cose che ci capitano, però, rispondono o a logiche o di causa-effetto o al caso. Causalità e casualità, nessun predeterminismo. Se vogliamo che una cosa accada, perché ci teniamo davvero, dobbiamo darci da fare perché questo succeda, senza aspettare che capiti da sé spontaneamente. Il “capitare” è aleatorio (fortuna caeca est), non ci possiamo fare affidamento, mentre l’impegno è concreto.

Ovviamente a volte non basta impegnarsi al massimo perché le cose vadano come desideriamo; ma farlo è comunque il modo più razionale ed efficace per rendere più probabile il raggiungimento dei nostri “desiderata”.

Funziona così anche per le relazioni affettive. Serve fortuna per incontrare la persona giusta (o meglio “una” persona giusta, perché non penso che ce ne sia solo una per ognuno di noi ma diverse possibili) e serve cura per venire ricambiati e riuscire a tenercela accanto. Niente destino quindi, ma solo tanto tanto amore!

Aspetto le vostre considerazioni nei commenti!

Grazie.

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