Come una libellula in un barattolo

Non so se è così per tutti. E se (o per chi) lo è, se capita a tutti allo stesso modo, momento. Come per la scadenza di un alimento, o meglio di una crema che va usata entro 12, 24 mesi da quando viene aperto il barattolo, altrimenti buttata.

A me è capitato un paio di anni prima che il suffisso “anta” cominciasse a essere scandito a ogni mio compleanno, in ogni occasione in cui fossi tenuta a fornire la mia età. È capitato in un periodo della mia vita complicato, sia da un punto di vista professionale che personale, ma credo che, anche senza l’innesco di una crisi, avrei comunque preso coscienza di essere arrivata al “giro di boa”.

Il giro di boa è il momento che divide la vita in un prima e in un dopo, la vede ripiegarsi su se stessa fino a farsi niente: un piccolo segmento senza massa e senza importanza.

Quando ho preso coscienza di esserci arrivata, mi sono figurata la mia vita del “prima” come un angolo di 180 gradi, con infinite possibilità davanti; un angolo che pian piano si è ridotto a ogni scelta: quella del tipo di liceo, delle amicizie, del corso di laurea all’università, del master, del lavoro, del compagno, dell’automobile, della casa, del colore del divano. Fino ad arrivare alla mia vita del “dopo”, che è cominciata quando quell’angolo piatto si è fatto nullo, si è trasformato in due semirette coincidenti che delle infinite possibilità non avevano altro che la direzione data dalle scelte fatte.

Mi sono resa conto che d’ora in poi non avrei più avuto nulla da decidere, nulla da cambiare, e mi sono sentita come una libellula imprigionata in un barattolo di vetro: dotata di ali per volare, ma senza possibilità di evadere dalla prigione, che negli anni mi ero costruita da sola. Una prigione tra l’altro in cui, fino ad allora, non mi ero neppure resa conto di essermi rinchiusa. Perché tutte quelle scelte, che mi avevano derubato di infinite alternative, erano anche obiettivi raggiunti, la fine di altrettante preoccupazioni, ansie.

E tutto si è mescolato nella mia testa, sovrapposto, nel suo bene e nel suo male, destabilizzandomi.

Non so per quanto è durato questo periodo di smarrimento; non lo ricordo più. Non sono neppure certa che sia passato del tutto. So solo che da allora, oltre al mondo al di là del vetro, ho cominciato a vedere anche il tappo del barattolo; un tappo che ho iniziato, pian piano, a spingere via. Perché se c’è qualcosa, che mi resta ancora da scegliere, è proprio quello di non arrendermi e cercare di dare a ciò, che della vita mi resta, un bel calcio in più.

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